Cripple Bastards – La Fine Cresce Da Dentro / Cd
Relapse Records – 2018
Grindcore
Ascolta il brano: Chiusura Forzata
Trent’anni di Cripple Bastards e mai un passo indietro, mai un cedimento. Con questo nuovo album La fine cresce da dentro in tutti i sensi: 18 tracce fulminanti, alcune brevissime come da tradizione (4 o 6 secondi), sul piano sonoro e concettuale, dove le intuizioni di Giulio The Bastard si rovesciano su una matrice sonora che appare più controllata – nel senso della reciprocità testi musiche – e in parte rinnovata grazie all’ingresso alle pelli di Raphael Saini e di alcune soluzioni melodiche, ma non melense, delle chitarre. Presenti anche suggestioni di stampo vagamente cyber, almeno nel disturbo interno ad alcuni groove che in generale conferiscono all’album un andamento pulsante, certamente non casuale: l’alternanza di scariche violente (ma non cieche), di blast beat e umori più deathcore e naturalmente grind assume la figura dell’impianto-espianto chirurgico, almeno in un paio di sensi. C’è la chirurgia di facciata per i più impressionabili, il cosiddetto odio dei Cripple, l’espianto, la sottrazione diretta, il rigurgito incontenibile per il conformismo e l’abbruttimento dell’individuo perennemente sottomesso a qualche modello non suo, a qualche obiettivo che “qualsiasi ruolo hai non ti riscatterà mai” e in ultima analisi sottomesso a qualche periferica insignificante immagine di sé “nata in un paese in cui non hai mai messo piede”. Beh, i Cripple sono i Cripple si dirà, la minestra è quella. Sì e no: il discorso – l’umore – di fondo è sempre quello che conosciamo ovviamente, ma a parte la maestria con cui alcune tracce sono state architettate nella struttura metro concetto testo base e umore sonoro (le mie preferite in questo sono Decessi per cause sconosciute, Narcolessia emotiva e Chiusura forzata) c’è un altro tipo di espianto: quello implicito nell’album come nel modello informe bersagliato dai Cripple, l’individuo abbruttito di cui sopra e quello implicito nella vita che sembra una vita, quella dei social insomma, anzi, dell’individuo social che nel disperato tentativo di riscattarsi si ritrova (o addirittura viene al mondo) incatenato a un nuovo padrone, che spesso è la finta immagine di se stesso. Sarà che ci siamo dentro fino al collo, ma è abbastanza intuitivo ricondurre molti brani a questa dimensione, almeno in senso laterale: mai davvero diretto, mai davvero seppellito lì dentro. E poi c’è l’impianto... chirurgico anche quello, sempre per i più impressionabili (o superficiali?), e forse c’è una forma di vendetta come riscatto autentico, ma più che altro La fine cresce da dentro nel senso che dobbiamo partire da lì e rifare la strada in contromano.
Che dire? Lo spirito continua.
Paolo Lubinu
Intervista Cripple nel numero 9 di Underground X