William Burroughs
In quegli anni alla Columbia abbiamo fatto succedere qualcosa di importante. Si trattava di un gruppo di ribelli, come ce ne sono tanti nelle università, ma era un gruppo che veramente si era consacrato a una nuova visione. Cercavamo di guardare al mondo sotto una nuova luce, in modo da dargli qualche senso. Eravamo alla ricerca di valori diversi, non per forza accettati da tutti, ma valori che fossero allo stesso tempo buoni. E fu attraverso la letteratura che doveva avvenire tutto questo. E doveva avvenire principalmente attraverso Kerouac e Ginsberg.
In queste parole pronunciate da Lucien Carr, membro della Beat Generation e amico di Ginsberg è racchiusa l’essenza di ciò che è stata la Beat Generation nel secondo dopoguerra americano. Si respira il fulcro della ribellione giovanile degli anni ‘50 ai valori preconfezionati della società vigente, delusa dalla futilità della guerra e in cerca di un nuovo modus vivendi che chiamarono “Una Nuova Visione”, rifacendosi al testo mistico di Yeats, Una Visione.
Numerose visioni emersero in un mondo fatto di hotel da due soldi, bordelli, ladruncoli e droga, le stesse visioni che tormentarono l’infanzia viziata di Burroughs, membro dell’ upper class americana, studente modello ad Harvard prima e capostipite di un genere letterario crudo e dissacrante poi. Fin da piccolo era dotato di una fervida immaginazione e grande sensibilità; se non fosse per il fatto che da adolescente passava i pomeriggi con la sua calibro 22 a esercitare la sua mira sui polli. Durante un ricovero in ospedale, dopo esser rimasto ferito fabbricando munizioni casalinghe, fece il primo incontro con la morfina. Da lì firmò il suo sodalizio con la droga e la sua condanna alla tossicodipendenza, che lo trascinarono in un escalation di fughe e condotte criminali tra i peggiori quartieri di New York, New Mexico, Texas, Londra e Parigi.
William Seward Burroughs II nasce a St. Louis il 5 febbraio 1914, in una famiglia borghese a capo dell’omonima società produttrice di calcolatrici, la più grande d’America. Sua madre lo venerava al punto da toglierlo continuamente dai guai e da pagargli una somma fissa in denaro fino ai cinquant’anni. D’altronde Burroughs era un amante della libertà e della vita dissoluta.
“Dopo anni di tentativi per scoprire chi e cosa sono, una mattina mi sono svegliato all’improvviso e ho capito che non me ne importava niente. Non volevo una consapevolezza interiore. Volevo scappare e dimenticare”.
La fuga di William fu però una lunga discesa agli inferi, in un sottosuolo animato da ricordi angoscianti e vanamente assopiti dai barbiturici di cui faceva uso. Era il 1951 quando uccise la moglie Joan Wollmer con un colpo di fucile, nel tentativo di imitare Guglielmo Tell.
Nel suo romanzo Checca (Queer), scritto tra il 1951 e il 1953 ma pubblicato trent’anni dopo, Burroughs spiegò come la scrittura fosse diventata la sua arma principale contro la possessione del Male: “Sono obbligato a giungere alla terrificante conclusione che senza la morte di Joan non sarei mai diventato uno scrittore. Vivo sotto la minaccia costante di essere posseduto e un bisogno costante di sfuggire alla possessione, al controllo.”
A proposito di controllo e perdita di controllo, Burroughs descrive le sue esperienze da tossicomane – e con una certa obiettività scientifica – nel romanzo La scimmia sulla schiena (Junkie), pubblicato nel 1953 con lo pseudonimo di William Lee. Paradossalmente l’autore, dopo un excursus nel suo mondo scabroso, invita il lettore a prendere coscienza degli effetti nefasti dell’uso di droghe. Il tutto con un linguaggio sfrontato e perentorio, che dona a Burroughs il primo posto tra le narrazioni dissacranti della letteratura d’avanguardia.
“Perché non può fare a meno dei narcotici, signor Lee?” è la domanda posta normalmente dagli psichiatri stupidi. Si può solo rispondere: “Ho bisogno della droga per alzarmi dal letto al mattino, per radermi e far colazione. Ne ho bisogno per rimanere in vita” (La scimmia sulla schiena).
Sarà con la stesura del Pasto Nudo (Naked Lunch), pubblicato nel 1959, che il richiamo molesto per la vita dissoluta, maltrattata e derisa si tradurrà in un processo per oscenità con sequestro delle copie scritte. D’altro canto, l’intento di Burroughs era di deliziare l’immaginario del lettore con racconti sulla dipendenza da oppiacei e rapporti sessuali senza limiti. Il linguaggio utilizzato non rientrava proprio nei canoni stilistici accademici, tant’è che l’intera opera venne considerata pornografia. Ma cos’è un pasto nudo? Ce ne dà una spiegazione Burroughs, definendolo “un attimo congelato, quando ognuno vede cosa realmente c’è sulla punta della forchetta”. È la poetica del vero, che si allontana dal “bello e buono” della Grecia antica, ma richiama in maniera diretta, sfrontata e senza maschere e fronzoli, la poetica del sottosuolo di Dostoevskij, fatta di intimità libera e irrazionale, irrequietezza e demoni.
Burroughs non era solo romanziere, assassino, mentore del movimento giovanile degli anni ‘60, attivista gay e pittore, ma influenzò anche tantissimi altri artisti, dalla scrittura cyber-punk (Bruce Sterling, Pad Catigan, Rudy Rucker, William Gibson, nel romanzo Neuromante) e la sua contaminazione si è allargata fino alla musica. Paul McCartney lo inserì sulla copertina di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles, David Bowie ha utilizzato la sua tecnica dei cut-up per scrivere i testi di Diamond Dogs del 1974 e dei suoi album del 1977 Low e Heroes. Dai “ragazzi selvaggi” Bowie ha preso spunto per l’ideazione di Ziggy Sturdust e gli Spiders from Mars. Joe Strummer e Micky Jones dei Clash si erano molto interessati all’opera di Burroughs, tant’è che viene comunemente indicato come il padrino del punk.
God save dei Queen – il mitico affronto dei Sex Pistols – era molto piaciuta a Burroughs, senza dimenticare che i giovani punk rappresentavano nella realtà i “ragazzi selvaggi” descritti nell’omonimo libro.
Persino Iggy Pop ricorda Burroughs tra le proprie influenze. La canzone Lust for Life, 1977 fa riferimento al personaggio Johnny Yen tratto dal romanzo Il biglietto che esplose (The ticket that esplode, 1961). Musicisti come Patti Smith e Christ Stein divennero suoi amici, specie perché trovavano un forte riconoscimento nei suoi scritti. Senza dimenticare Michael Stipe dei R.E.M, Kurt Cobain, i Sonic Youth, i quali presero ispirazione da lui e spesso gli fecero visita.
Ciò che fiorisce tra i racconti di vita dissoluta di Burroughs è la sua volontà di liberare le menti dalle costrizioni della società e della morale borghese, del nazionalismo e della religione.
Burroughs insegna che nelle increspature più profonde del nostro essere, nel baratro delle nostre paranoie, nel non-sense dell’incessante ricerca dell’oblio, dell’azzeramento del rumore e nel suono pacifico del nostro intimo ascolto, c’è sempre un lieto fine.
Dopo svariati tentativi di disintossicarsi, alla fine ci riuscì. Si spense a ottantatre anni. Scrisse sedici romanzi e ventisei racconti influenzando le menti e i cuori degli anni ‘60 come quelli di oggi.
Sara Bragalone
Articolo apparso nel numero 17 di Underground X, ottobre 2017