"...intraprendere un viaggio nel quale poter pensare un modo di vivere migliore e diverso da quello che subiamo costantemente"
Gionata Mirai nasce come cantante/chitarrista del gruppo noise – rock, Super Elastic Bubble Plastic, formatosi nel 2001.
Meglio conosciuto come il chitarrista de Il Teatro degli Orrori, dal 2011 si propone come solista con il suo progetto “Allusioni”: una suite di 25 minuti divisa in 5 tracce strumentali dove Gionata suona pizzicando, la sua chitarra 12 corde.
Un album che mostra la parte più dolce, intima e personale dell'artista rispetto all'aggressività del suono con il Teatro degli Orrori.
Guardando al disastro nucleare di Fukushima, con questo progetto Gionata vorrebbe lasciare, all'attenzione di chi lo ascolta il tentativo di intraprendere un viaggio nel quale poter pensare un modo di vivere migliore e diverso da quello che subiamo costantemente. Noi di Ux lo abbiamo incontrato in occasione di uno dei suoi tanti live in terra sarda: al Du festival di Bauladu lo scorso luglio.
Ciao Gionata, hai sempre fatto parte di una band, che differenze ci sono a livello mentale e di attitudine nell'esibirsi come solista?
Sono due modi molto differenti di intendere un'esibizione, come parte di una band il suono complessivo e il messaggio provengono da più cervelli e dall'unione di questi, è una somma di energie e la sua forza sta proprio nel fatto che è un insieme che si muove; quando affronto un live da solo so che tutto è sulle mie spalle, che ogni scelta, ogni emozione suscitata dipende solo da me e ogni conseguenza è di mia responsabilità, nel bene e nel male. E' una sensazione interessante essere l'unica causa della buona o cattiva riuscita di un momento.
«Credo che entro un margine di tempo relativamente breve ci troveremo a dover fronteggiare un momento in cui sarà necessario e obbligatorio compiere una scelta che avrà a che fare con i reali motivi per cui ci troviamo al punto in cui ci troviamo e con le conseguenze delle strade che intraprenderemo. Anche l'immobilità sarà scegliere, come pure il silenzio. E puoi anche distrarti o chiudere gli occhi, che il gioco si compie comunque. Forse vale la pena esserci, anche solo per vedere come va a finire.»
Queste sono le tue uniche parole presenti nella copertina di Allusioni, che, come hai sempre dichiarato nelle tue interviste è nato praticamente di getto e spontaneamente mentre guardavi in tv le immagini in diretta del crash nucleare di Fukushima: a distanza di tre anni come pensi che stia andando a finire e come secondo te le persone stanno reagendo a questo tipo di disastri ecologici?
Credo che la maggior parte delle persone abbia scelto il silenzio, abbia scelto ancora una volta la “delega delle decisioni” per paura, poca consapevolezza di sé stessi e, perché no, poca fantasia. E questo fa gioco a chi invece tira le fila del discorso. Ci hanno insegnato che non siamo adatti a prendere decisioni che ci riguardano, che la complessità della realtà non è cosa per noi e il problema più grosso è che ci stiamo credendo, indipendentemente dalle conseguenze. Questo vale a livello ecologico, politico e di rapporti interpersonali.
Quando suoni dal vivo (sia elettrico che acustico) ti concentri solo sulla parte tecnica dell'esibizione oppure fai anche viaggiare i tuoi pensieri? Ti capita di interagire con il pubblico o ti concentri esclusivamente sullo strumento?
Il lato tecnico delle mie esibizioni è il lato meno importante, superabile semplicemente con un po' di esercizio; quando suono i miei pensieri SONO ciò che suono, e più questa condizione si verifica tanto più il live prende spessore ed efficacia. E' il motivo per cui tendo ad avere poche interazioni verbali con il pubblico, le parole sono un mezzo molto limitato di comunicazione; ciò che penso e voglio dire è meglio che esca direttamente dalla chitarra, solo così mi interessa comunicare. Io mi concentro sulla mia sensazione, lo strumento è il mezzo e le onde che vi colpiscono sono le mie parole.
Cosa intendi per hardcore fingerpicking, lo stile chitarristico che hai creato per Allusioni? L’essere mancino ha inciso sul tuo modo di suonare?
L'hardcore è tecnicamente semplice, molto veloce, d'impatto emotivo e ricco di contenuti.
E Allusioni secondo me è così. L'essere mancino ha inciso più sul fatto di avere un rapporto molto stretto con il mio strumento, non potendone praticamente suonare altri. Se arrivo in un posto e c'è una chitarra non ci posso fare molto. Sono abituato ormai a sapere che se suono lo faccio con la mia, una specie di “monogamia forzata” che ha i suoi lati positivi...
Provieni da contesti decisamente elettrici, alle volte persino “acidi”, con questa tua nuova esperienza, ti sarai potuto esibire anche in ambienti più intimi; tra le due situazioni, ci sono dei momenti che ricordi con particolare emozione?
Paradossalmente uno dei momenti più strani vissuti con Allusioni non si è verificato in un ambiente raccolto, è successo vicino a Torino, al Teatro della Concordia, da spalla ai Verdena; mi piacciono i contrasti, lo ammetto, suonare Allusioni, che nasce da e per l'intimità, in un contesto completamente diverso, con un sacco di gente che sta aspettando un concerto rock, mi ha impressionato parecchio. E' stato veramente bello confrontarsi con due o tre mila persone in attesa di alti volumi, ritmiche e casino e presentarsi solo, su un palco vuoto con arpeggi da cameretta... E riuscire a finire prima di far arrabbiare gli astanti. C'era un suono immenso, perchè una chitarra da sola amplificata in un luogo enorme con un riverbero enorme crea un suono enorme. Zero fronzoli, solo suono. Allo stesso modo con il Teatro le cose più estreme (e quindi più interessanti) si sono sempre verificate in luoghi piccolissimi con la gente stipata, l'ossigeno razionato e la guerra che comincia appena metti piedi sul palco e ti chiedi se mai riuscirai ad uscire vivo dalla serata. Meraviglia, a volte, gli esseri umani.
Visto il tuo amore per la Sardegna, dovuto anche al fatto che tuo padre vive qui e spesso vieni a trovare la nostra terra, ti è capitato di ascoltare qualche artista o gruppo sardo che ti ha colpito? Cosa pensi di contesti come il Du festival? Non è la prima volta che ci capiti...
Stasera per l'ennesima volta ho capito che non servono super-produzioni, luci e fasti vari per creare uno show credibile. Non serve nemmeno un palco, serve solo voglia e sudore. The Rippers hanno (ancora una volta, come sempre) confermato questo pensiero. Con tutto il rispetto per Le Luci della Centrale Elettrica, comunque ottimi, e un po' meno per i Diaframma (fare della propria mediocrità una bandiera mi sa tanto di bambino viziato e la cosa sinceramente non mi interessa più di tanto).
Il sindaco di Bauladu ha meno di trent'anni e il cervello al posto giusto, se avrà la forza e la costanza di continuare il tempo gli darà ragione e non avrà mai di che pentirsi di ciò che sta creando in questi anni. Appoggio incondizionato.
Ultima domanda di rito: cosa dobbiamo aspettarci dal Gionata artista? Hai anche qualche anticipazione per i fan del Teatro? Quando un vostro live in Sardegna?
Ne riparliamo l'anno prossimo, sono curioso quanto voi di vedere cosa succede. So che la Sardegna è uno dei luoghi migliori in cui suonare, il Du Festival è stato teatro di grandi momenti per noi e per chi c'era (spero)... e se e quando sarà ora, non mancheremo. A presto.
Daniela Dark
ARTICOLO TRATTO DAL NUMERO 13 - FEBBRAIO 2015